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      Fatto l'accordo, si richiamorono subito da ciascuna delle parti tutte le genti e l'armata del mare, e si restituirono le terre occupate, procedendo il pontefice con buona fede alla osservanza (le condizioni del quale erano molto superiori nel regno di Napoli); ma all'Aquila i figliuoli del conte di Montorio, diffidando potervi stare sicuri altrimenti, liberorono il padre, il quale subito, col favore della fazione imperiale, ne scacciò i figliuoli e la fazione avversa. Arrivò poi il viceré a Roma; per la venuta del quale il pontefice, giudicandosi assicurato del tutto della osservanza della concordia, licenziò con pessimo consiglio tutte le genti che nelle parti di Roma erano agli stipendi suoi, riservandosi solamente cento cavalli leggieri e dumila fanti delle bande nere: dandogli a questo maggiore animo il persuadersi che il duca di Borbone fusse inclinato alla concordia, per le difficoltà che aveva a procedere nella guerra (perché sempre aveva dimostrato a lui desiderarla) e per una sua lettera al viceré, intercetta dal luogotenente, per la quale lo confortava a concordare col pontefice quando si potesse farlo con onore di Cesare. Al quale ritornò, pochi dí dopo la giunta del viceré, a significare le cose fatte e a trattare della pace [il generale di San Francesco].
      Ma molto diversamente procedevano le cose intorno a Bologna: perché avendo il pontefice, subito dopo la stipulazione della tregua, espedito Cesare Fieramosca a Borbone perché approvasse la concordia, e ricevuto che avesse i danari levasse l'esercito del territorio della Chiesa, si scopersono, forse in Borbone ma senza dubbio ne' soldati, infinite difficoltà, dimostrandosi ostinati a volere seguitare la guerra, o perché s'avessino proposto speranza di grandissimo guadagno o perché i danari promessi del pontefice non bastassino a sodisfargli di due paghe; e però molti credettono che se fussino stati centomila ducati arebbono facilmente accettata la tregua.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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