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      Ma maggiore fu la dimostrazione contro al marchese del Guasto; il quale, essendosi partito dallo esercito per andare nel reame di Napoli, mosso o da indisposizione della persona o per non contravenire, secondo che scrisse al luogotenente, alla volontà di Cesare come gli altri, o da altra cagione, fu bandito dallo esercito per rebelle. Per la venuta del duca di Borbone al ponte a Reno, il marchese di Saluzzo e il luogotenente, essendo già certi che gli inimici andavano verso la Romagna, lasciata una parte de' fanti italiani alla guardia di Bologna, non senza difficoltà di condurre i svizzeri (per il pagamento de' quali fu necessitato il luogotenente prestare a Giovanni Vitturio diecimila ducati), si indirizzorono, la notte medesima, col resto dello esercito a Furlí, dove entrorono il terzo dí di aprile, lasciato in Imola presidio sufficiente a difenderla. Sotto la quale città passò, il quinto dí, il duca di Borbone per alloggiare piú basso sotto la strada maestra. Ma come a Roma pervenne la certezza che Borbone non aveva accettata la tregua, il viceré, dimostrandone grandissima molestia, e persuadendosi che, secondo aveva ricevuto gli avvisi primi, procedesse perché fusse necessaria maggiore somma di danari, mandò uno suo uomo a offerire, di piú, ventimila ducati, quali pagava delle entrate di Napoli; ma dipoi, inteso essere stato in pericolo, partí il terzo dí d'aprile da Roma per abboccarsi con Borbone, avendo promesso al pontefice che costrignerebbe Borbone ad accettare la tregua, se non con altro modo, col separare da lui le genti d'arme e la maggiore parte de' fanti spagnuoli.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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