Ma essendo l'altro dí in cammino, e già propinqui a Firenze, uno accidente improviso e da partorire, se non si fusse proveduto, gravissimi effetti, dette impedimento grande a questa e all'altre esecuzioni che si sarebbeno fatte.
Perché, essendo in Firenze grandissima sollevazione d'animo e quasi in tutto il popolo malissima contentezza del presente governo, e instando la gioventú che, per difendersi, secondo dicevano, da' soldati, i magistrati concedessino loro l'armi, innanzi se ne facesse deliberazione, il dí ventisei, nato nella piazza publica certo tumulto quasi a caso, la maggiore parte del popolo e quasi tutta la gioventú armata cominciò a correre verso il palagio publico. E dette fomento non piccolo a questo tumulto o la imprudenza o la timidità di Silvio cardinale di Cortona; il quale avendo ordinato di andare insino fuora della città a incontrare il duca di Urbino per onorarlo, non mutò sentenza, ancora che, innanzi che si movesse, avesse inteso essere cominciato questo tumulto: donde spargendosi per la città egli essere fuggito, furono molti piú pronti a correre al palazzo; il quale occupato dalla gioventú e piena la piazza di moltitudine armata, costrinseno il sommo magistrato a dichiarare rebelli con solenne decreto Ippolito e Alessandro nipoti del pontefice, con intenzione di introdurre di nuovo il governo popolare. Ma intratanto, entrati in Firenze il duca e il marchese con molti capitani e con loro il cardinale di Cortona e Ippolito de' Medici, e messi in arme mille cinquecento fanti, che per sospetto erano stati tenuti piú dí nella città, fatta testa insieme si indirizzorono verso la piazza; la quale, abbandonata subito dalla moltitudine, pervenne in potestà loro: benché, tirandosi sassi e archibusi da quegli che erano nel palagio, nessuno ardiva di fermarvisi, ma tenevano occupate le strade circostanti.
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