Ma, o fusse stato altro il suo primo consiglio, stabilito, come molti hanno detto, segretissimamente, insino al Finale, con l'autorità del duca di Ferrara e di Ieronimo Morone, o diffidando, poiché alla difesa di Firenze erano condotte le forze di tutta la lega, di potere fare frutto in quella impresa, né potendo anche sostentare piú l'esercito senza denari, condotto insino a quel dí per tante difficoltà con vane promesse e vane speranze, e però necessitato o a perire o a tentare la fortuna, deliberò di andare improvisamente e con somma prestezza ad assaltare la città di Roma; dove e i premi della vittoria e per Cesare e per i soldati sarebbono inestimabili, e la speranza del conseguirgli non era piccola, poi che [il papa], con cattivo consiglio, aveva licenziato prima i svizzeri e poi i fanti delle bande nere, e ricominciato sí lentamente (disperato che fu l'accordo) a provedersi che giudicava non sarebbe a tempo a raccorre presidio sufficiente.
Partí adunque il duca di Borbone con tutto l'esercito, il dí vigesimo [sesto] di aprile, spedito, senza artiglierie senza carriaggi; e camminando con incredibile prestezza, non lo ritardando né le pioggie, le quali in quegli dí furono smisurate, né il mancamento delle vettovaglie, si appropinquò a Roma in tempo che appena il pontefice avesse certa la sua venuta, non trovato ostacolo alcuno né in Viterbo, dove il papa non era stato a tempo a mandare gente, né in altro luogo. Però il pontefice, ricorrendo (come prima gli era stato predetto avere a essere da uomini prudentissimi) nelle ultime necessità, e quando non gli potevano piú giovare, a quegli rimedi i quali, fatti in tempo opportuno, sarebbono stati alla salute sua di grandissimo momento, creò per danari tre cardinali; i quali per l'angustia delle cose non gli potettono essere numerati, né, gli fussino stati numerati, potevano, per la vicinità del pericolo, partorire piú frutto alcuno.
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