a Cesare, per gli oratori franzesi e inghilesi e viniziani.
Ma in questo trattato nascevano molte difficoltà, perché Cesare faceva instanza che la causa di Francesco Sforza si vedesse di ragione, e che pendente la cognizione fusse posseduto da sé tutto lo stato; promettendo in ogni caso di non lo appropriare a se medesimo: dimandava che i viniziani pagassino allo arciduca il resto de' dugentomila ducati dovutigli per i capitoli di Vormazia; il che l'oratore veneto non ricusava, adempiendo l'arciduca e restituendo i luoghi a che era obligato: dimandava che a' fuorusciti loro, come già era stato convenuto, o restituissino centomila ducati o consegnassino entrata di cinquemila; pagassino a lui quello erano debitori per la confederazione fatta seco, la quale voleva si rinnovasse: restituissino alla Chiesa Ravenna, e rilasciassino quanto tenevano nello stato di Milano: dimandava a' fiorentini trecentomila ducati, per le spese fatte e danni avuti per la loro inosservanza: consentiva che il re di Francia pagasse al re di Inghilterra per lui il debito de' quattrocento cinquantamila ducati; del resto, insino in due milioni, dimandava staggi: voleva le dodici galee dal re di Francia per l'andata sua in Italia, ma non piú né cavalli né fanti: e che, subito che fusse stipulata la concordia, si partissino tutte le genti franzesi di Italia, il che il re recusava se prima non gli erano restituiti i suoi figliuoli. Le quali dimande quando si sperava mitigasse, lo fece (secondo il costume suo di non cedere alle difficoltà) piú pertinace la perdita di Alessandria e di Pavia, in modo che, essendo venuto a lui il quintodecimo dí di ottobre, di Inghilterra, l'auditore della camera, a sollecitare in nome di quello re la liberazione del pontefice, rispose avere proveduto per il generale; e che quanto allo accordo non voleva, né per amore né per forza, alterare le condizioni che aveva proposte prima.
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