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      La qual cosa mentre che si trattava, gli statichi, con indegnazione gravissima de' fanti tedeschi, fuggirono occultamente di Roma, alla fine di novembre. Lunga fu la discettazione sopra questa materia, non essendo anche di una medesima sentenza quegli che avevano a determinare: perché don Ugo, benché avesse mandato a Roma Serone suo secretario insieme con gli altri, v'aveva, per la malignità della sua natura e per avere l'animo alieno dal pontefice, piccola inclinazione; il generale, tutto il contrario, per la cupidità di diventare cardinale; Migliau contradiceva come a cosa pericolosa a Cesare, e non potendo resistere se ne andò, a Napoli; della quale empietà patí le pene, perché ne' primi dí dello assedio, scaramucciando, fu morto di uno archibuso. Né mancava il pontefice a se medesimo; perché tirò nella sentenza sua Ieronimo Morone, il consiglio del quale era in tutte le deliberazioni di grande autorità; conferito il vescovado di Modena al figliuolo, e promessi a lui certi frumenti suoi che erano a Corneto, di valore di piú di dodicimila ducati. Ma non con minore industria si fece propizio il cardinale Colonna; promessagli la legazione della Marca, e dimostrandogli, quando, venuto a Roma, l'andò a visitare nel Castello, di volere essere a lui principalmente debitore di tanto beneficio; e artificiosamente instillandogli negli orecchi: che maggiore gloria o che maggiore felicità potesse desiderare che farsi noto a tutto il mondo essere in potestà sua deprimere i pontefici, in potestà sua, quando erano annichilati, fargli ritornare nella pristina grandezza.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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