Ma alla fine dell'anno precedente, e molto piú nel principio dell'anno medesimo, cominciorono manifestamente ad apparire vane le pratiche della pace, per le quali si esacerborono molto piú gli animi de' príncipi: perché, essendo risolute quasi tutte le difficoltà (con ciò sia che Cesare non negasse di restituire il ducato di Milano a Francesco Sforza, e di comporre co' viniziani e co' fiorentini e con gli altri confederati), si disputava solamente quale cosa s'avesse prima a mettere in esecuzione, o la partita dello esercito del re di Francia di Italia o la restituzione de' figliuoli. Negava il re di obligarsi a Cesare, restando a lui Genova, Asti e Edin, a levare l'esercito di Italia, se prima non recuperava i figli, ma offeriva statichi in mano del re di Inghilterra, per sicurtà della osservanza delle pene alle quali si obligava se recuperati i figli non levasse subito l'esercito; Cesare instava del contrario, offerendo le medesime cauzioni in mano del re di Inghilterra. E disputandosi chi fusse piú onesto che si fidasse dell'altro, diceva Cesare non si potere fidare di chi una volta l'aveva ingannato; a che rispondevano argutamente gli oratori franzesi che quanto piú si pretendeva ingannato dal re di Francia tanto manco poteva il re di Francia fidarsi di lui; né la offerta di Cesare, di dare le sicurtà medesime in mano del re di Inghilterra che offeriva di dare il re di Francia, essere offerta pari perché anche non era pari il caso, con ciò sia che fusse di tanto maggiore momento quello che Cesare prometteva di fare che quello che prometteva il re di Francia, e però non assicurare le sicurtà medesime.
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