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      Soggiunseno in ultimo che gli oratori del re di Inghilterra, quali avevano mandato dal suo re di obligarlo a fare osservare quello che promettesse il re di Francia, non avevano mandato a obligarlo per l'osservanza di quello promettesse Cesare; e che, essendo le facoltà loro terminate e con tempo prefisso, non potevano né trasgredire né aspettare. Sopra la quale disputa non si trovava risoluzione alcuna, perché Cesare non aveva la medesima inclinazione alla pace che aveva il suo consiglio, persuadendosi, eziandio perduto Napoli, poterlo riavere con la restituzione de' figliuoli: ed era imputato molto il gran cancelliere, ritornato molto prima in Ispagna, di avere turbato con punti e con sofistiche interpretazioni. Finalmente gli oratori franzesi e inghilesi deliberorono, secondo le commissioni che avevano in caso della disperazione della concordia, di dimandare a Cesare licenza di partirsi, e poi subito fare intimare la guerra. Con la quale conclusione presentatisi, il vigesimo primo dí di gennaio, seguitandogli gli oratori de' viniziani del duca di Milano e de' fiorentini, innanzi a Cesare, residente allora con la corte a Burgus, gli oratori inghilesi gli dimandorono i quattrocento cinquantamila ducati prestatigli dal loro re, seicentomila per la pena nella quale era incorso per il ripudio della figliuola e cinquecentomila per le pensioni del re di Francia e per altre cagioni: le quali cose proposte per maggiore giustificazione, tutti gli oratori de' collegati gli dimandorono licenza di partirsi.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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