Prestò gli orecchi il re a questo consiglio, non indotto a quel fine che disegnava Eboracense ma mosso, come molti dissono, non tanto dal desiderio di avere figliuoli quanto perché era innamorato di una donzella della regina, nata di basso luogo, la quale inchinò l'animo a pigliare per moglie; non essendo né a Eboracense né ad altri noto questo suo disegno, il quale quando cominciò o a scoprirsi o a congetturarsi non ebbe facoltà Eboracense di dissuadergli il fare divorzio, perché non arebbe avuto autorità a consigliargli il contrario di quello che prima gli aveva persuaso: e già il re, avendo dimandato parere da teologi da giureconsulti e da religiosi, aveva avuto risposta da molti che il matrimonio non era valido, o perché cosí credessino o per gratificare, come è costume degli uomini, al principe. Però, come il pontefice fu liberato di prigione, gli destinò imbasciadori per confortarlo a entrare nella lega, per operarsi, secondo che da lui fusse ordinato loro, per la restituzione di Ravenna, ma principalmente per ottenere la facoltà di fare il divorzio: che non si cercava per via di dispensa, ma per via di dichiarazione che il matrimonio con Caterina fusse nullo. E si persuase il re che il pontefice, per trovarsi debole di forze e di riputazione né appoggiato alla potenza di altri príncipi, e mosso ancora dal benefizio fresco de' favori grandi avuti da lui per la sua liberazione, avesse facilmente a consentirgli; sapendo massime che il cardinale, per avere favorito sempre le cose sue e prima quelle di Lione, poteva molto in lui: e acciò che il pontefice non potesse allegare scusa di timore per la offesa che ne risultava a Cesare, figliuolo d'una sorella di Caterina,
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