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      Come similmente era il re di Francia; perché a Lautrech, in questo tempo, vennono avvisi che l'assegnamento fattogli dal re, quando partí di Francia, di cento trentamila scudi il mese per le spese della guerra, e del quale aveva ancora a riscuoterne circa dugentomila, era stato ridotto, né per piú che per tre mesi futuri, solamente a ragione di sessantamila scudi il mese: di che era in grandissima disperazione, lamentandosi che il re non si commovesse né dalla ragione né dalla fede né dalla memoria ed esempio del danno proprio; perché diceva che l'avere voltato il re i denari e le forze che avevano a servire a lui, per la difesa del ducato di Milano, alla impresa di Fonterabia, era stato cagione di fargli perdere quello stato. Succedette la cosa dell'Aquila felicemente: perché, come Pietro Navarra, il quale Lautrech vi aveva mandato insino da Fermo, vi si accostò, il principe di Melfi se ne partí, e vi entrò in nome del re di Francia il vescovo della città, figliuolo del conte di Montorio. Occuporono per accordo e i fanti tedeschi de' viniziani Civitella, piccola terra ma forte, posta di là dal Tronto sette miglia; prevenuti dugento archibusieri spagnuoli i quali camminavano per entrarvi dentro. Seguitò l'esempio della Aquila tutto lo Abruzzi; e arebbe fatto il simigliante, in brevissimo tempo, tutto il reame di Napoli se l'esercito imperiale non fusse uscito di Roma.
      Il quale, dopo molte difficoltà e molti tumulti, nati perché i soldati dimandavano di essere pagati del tempo corso dopo la liberazione del pontefice, uscí di Roma il decimosettimo dí di febbraio; dí di grandissimo respiramento alle miserie tanto lunghe del popolo romano se, subito dopo la partita loro, non vi fussino entrati l'abate di Farfa e altri Orsini co' villani delle terre loro, i quali vi feciono per molti dí gravissimi danni.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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