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      E scrive il Cappella che e' fu ferito in una coscia, d'uno scoppio, Pietro da Birago che morí fra pochi dí, che non volle essere levato di terra acciò che i suoi non abbandonassino la battaglia; e fu ferito anche di scoppio Pietro Botticella, che si partí dalla battaglia: capitani tutt'e due del duca di Milano. Finalmente, a ore ventidue, si entrò dentro con poco danno, e con laude grande (secondo il Martello) del duca d'Urbino; e il Cappella scrive, con laude grande del Pizinardo. E scrive il Martello che di quegli di dentro furono ammazzati da seicento in ottocento, tra' quali quasi tutti i tedeschi (che erano quattrocento) che erano stati messi dagli spagnuoli alle difese; e che, innanzi si entrasse, mille fanti tra spagnuoli e italiani, usciti per la porta del castello, furno rotti da' cavalli. Ma cominciato a entrare dentro l'esercito, Galeazzo da Birago con molti soldati e uomini della terra si ritirò in castello. La città tutta andò a sacco, poco utile per i due sacchi precedenti. Il castello si accettò a patti, perché era necessario batterlo e in campo non era munizione, e i fossi larghissimi e profondissimi da non si riempiere sí presto, e dentro rifuggitivi cinquecento uomini di guerra. I patti furono che gli spagnuoli (che secondo il Martello in Pavia furno seicento), con l'artiglierie e munizioni che e' potessino tirare a braccia e ogni loro arnese, avessino facoltà, insieme co' tedeschi che erano restati pochissimi, di andarsene a Milano; e gl'italiani, in ogni luogo fuora che Milano.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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