Praticavasi intratanto continuamente tra Cesare e il duca di Milano, per mano del protonotario Caracciolo, che andava da Cremona a Piacenza; e parendo strano a Cesare che il duca si piegasse manco a lui di quello che arebbe creduto, e il duca da altro canto riducendosi difficilmente a fidarsi, fu introdotta pratica che Alessandria e Pavia si deponessino in mano del papa, insino a tanto fusse conosciuta la causa sua. A che scrive il Cappella che gli imbasciadori del duca che erano appresso a Cesare non volleno consentire; ma credo che la conclusione mancasse da Cesare, non gli parendo potesse resistere alle forze sue, e tanto piú che Antonio de Leva era andato a Piacenza e (come era inimico dell'ozio e della pace), l'aveva confortato con molte ragioni alla guerra. Però Cesare gli commesse che facesse la impresa di Pavia; disegnando anche che nel tempo medesimo il capitano Felix, che [era] venuto co' nuovi lanzi e con cavalli e artiglierie verso Peschiera, e dipoi entrato in bresciano, rompesse da quella banda a' viniziani; avendo fatto il marchese di Mantova capitano generale di quella impresa.
Trattava intanto il pontefice la pace tra Cesare e i viniziani, con speranza di conchiuderla alla venuta sua di Bologna; perché avendo avuto prima in animo di abboccarsi a Genova con lui, avevano poi differito di comune consentimento, per la comodità del luogo, a convenirsi a Bologna; inducendogli a essere insieme non solo il desiderio comune di confermare e consolidare meglio la loro congiunzione, ma ancora Cesare la necessità, perché aveva in animo di pigliare la corona dello imperio, e il pontefice la cupidità della impresa di Firenze; e l'uno e l'altro di loro il desiderio di dare qualche forma alle cose d'Italia (che non poteva fare senza [comporre] le cose de' viniziani e del duca di Milano); ed eziandio di provedere a' pericoli imminenti del turco, il quale, con grande esercito entrato in Ungheria, camminava alla volta di Austria per attendere alla espugnazione di Vienna.
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