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      Ma passate che ebbono l'Alpi le genti mandate nuovamente da Cesare, Pistoia e poi Prato, abbandonate dalle genti de' fiorentini, si arrendorono al pontefice: però l'esercito, non avendo alle spalle impedimento, non si andò a unire con li altri, ma fermatosi dall'altra parte di Arno alloggiò a Peretola presso alle mura della città, sotto il governo del marchese del Guasto, benché a tutti era superiore il principe di Oranges: essendo già ridotte le cose piú presto in forma di assedio che di oppugnazione. Arrendessi anche Pietrasanta al pontefice.
      Nella fine di questo anno, il pontefice, ricercato da Malatesta Baglione che gli dava speranza di concordia, mandò a Firenze indiritto a lui Ridolfo Pio vescovo di Faenza; col quale furono trattate varie cose, parte con saputa della città in beneficio, parte occultamente da Malatesta contro alla città; le quali non ebbono altro effetto, anzi si credette che Malatesta, che era al fine della sua condotta, l'avesse tenute artificiosamente, acciò che i fiorentini, per timore di non essere abbandonati da lui, lo riconducessino con titolo di capitano generale; il che ottenne.
      Seguitò l'anno mille cinquecento trenta la impresa medesima: dove benché Oranges, con cominciare nuovi cavalieri e nuove trincee, facesse dimostrazione di volere battere i bastioni piú d'appresso, e massime quel di San Giorgio molto gagliardo, nondimeno, parte per la imperizia sua parte per la difficoltà della cosa, non si messe a esecuzione disegno alcuno; appartenendo a Stefano Colonna la guardia di tutto il monte.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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