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      Nel principio di questo anno, i fiorentini, presa speranza dalle cose trattate col vescovo di Faenza, mandorono di nuovo oratori al pontefice e a Cesare; ma con precisa commissione di non udire cosa alcuna per la quale si trattasse di alterare il governo o diminuire il dominio: però, essendo discordi nello articolo principale, non avendo anche potuto ottenere udienza da Cesare, ritornorono presto a Firenze senza conclusione. Dove erano nove in diecimila fanti vivi, ma pagati di sorte che ascendevano a piú di quattordicimila paghe. Però i soldati difendevano la città con grande affezione e prontezza di fede: i quali per stabilire tanto piú, i capitani tutti, convocati nella chiesa di San Niccolò, dopo avere udita la messa, feciono, presente Malatesta, uno solenne giuramento di difendere la città insino alla morte. Solo in questa costanza e fedeltà de' fanti italiani si dimostrò incostante e infedele Napolione Orsino; il quale, ricevuti danari da' fiorentini, se ne ritornò a Bracciano, e composte le cose sue col pontefice e con Cesare, fece opera che alcuni capitani stativi mandati da lui si partissino da Firenze.
      Ma il pontefice, non lasciando indietro diligenza alcuna per ottenere lo intento suo, operò che il re di Francia mandò Chiaramonte a Firenze a scusare l'accordo fatto, per la necessità di riavere i figliuoli, e lo essere stato impossibile lo includervi loro; confortandogli a pigliare gli accordi potevano, pure che fussino utili e con la libertà: offerendo quasi di volersi intromettere.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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