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      Comandò ancora a Malatesta e a Stefano Colonna, come uomini del re, e protestò loro che partissino di Firenze; benché da parte segretamente dicesse il contrario. Ma quel che importò piú, per la perdita della riputazione e spavento del popolo, fu che, per sodisfare al pontefice e Cesare, levò monsignore di Viglí che ordinariamente risedeva suo oratore in Firenze, lasciatovi però come privato Emilio Ferretto per non gli disperare del tutto; e promettendo anche loro segretamente di aiutargli, come avesse ricuperato i figliuoli. E vacillò anche il re di fare partire l'oratore fiorentino dalla sua corte: aiutandosi il pontefice con tutte l'arti, perché per Tarbes mandò il cappello del cardinalato al cancelliere, e non molto dipoi la legazione del regno di Francia. Per il quale introdusse anche pratica di nuovo abboccamento, a Turino, tra Cesare il re di Francia e lui. Ma fu risposto a Tarbes, nel consiglio regio, che stando i figli in prigione era stoltizia che il re andasse cercando di entrarvi anche lui.
      Statuirono poi il pontefice e Cesare andare a Siena, per dare piú dappresso favore alla impresa, e poi trasferirsi a Roma per la corona: ma essendo già in procinto di partirsi, o vera o simulata che fusse la deliberazione, sopravenneno lettere di Germania che lo sollecitavano a trasferirsi di là facendone instanza gli elettori e i príncipi per conto delle diete; Ferdinando per essere eletto re de' romani, gli altri per rispetto del concilio. Però, omesso il pensiero di andare innanzi, prese in Bologna, con concorso grande ma con piccola pompa e spesa, la corona imperiale, il giorno di san Mattia, giorno a lui di grandissima prosperità; perché in quel dí era nato, in quel dí era stato fatto suo prigione il re di Francia, in quel dí assunse i segni e ornamenti della degnità imperiale.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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