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      Perché, quale felicità si può comparare alla infelicità della sua incarcerazione? all'avere veduto con sí grave eccidio il sacco di Roma? allo essere stato cagione di tanto esterminio della sua patria? Morí odioso alla corte, sospetto a' príncipi, e con fama piú presto grave e odiosa che piacevole; essendo riputato avaro, di poca fede e alieno di natura da beneficare gli uomini. Però, benché nel suo pontificato creasse trentuno cardinali, non ne creò alcuno per sodisfazione di se medesimo, anzi sempre quasi necessitato, eccetto il cardinale de' Medici; il quale, oppresso allora da pericolosa infermità, e in tempo che morendo lasciava i suoi mendichi e destituti di ogni presidio, creò piú tosto stimolato da altri che per propria e spontanea elezione. E nondimeno nelle sue azioni molto grave molto circospetto e molto vincitore di se medesimo, e di grandissima capacità se la timidità non gli avesse spesso corrotto il giudicio.
      Morto lui, i cardinali, la notte medesima che si serrorono nel conclave, elessono tutti concordi in sommo pontefice Alessandro della famiglia da Farnese, di nazione romano, cardinale piú antico della corte; conformandosi i voti loro col giudicio e quasi instanza che n'aveva fatto Clemente, come di persona degna di essere a tanto grado preposta a tutti gli altri. Uomo ornato di lettere e di apparenza di costumi, e che aveva esercitato il cardinalato con migliore arte che non l'aveva acquistato; perché è certo che il pontefice Alessandro sesto aveva conceduta quella degnità non a lui ma a madonna Giulia sua sorella, giovane di forma eccellentissima.


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Storia d'Italia
di Francesco Guicciardini
pagine 2094

   





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