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      E riscaldando tuttavia nel predire, con grandissimo concorso e nome di santità e di essere profeta, ed andando a udirlo d'ogni sorte d'uomini tra' quali Giovanni Pico conte della Mirandola (cosí dotto uomo come avessi la età nostra, e che, se non che morí di corto, fu di opinione si sarebbe fatto frate), entrò in tanto credito, che quando Piero andò a Serezzana, fu mandato, come di sopra è detto, imbasciadore al re Carlo, sperandosi che la santità sua avessi a fare qualche gran frutto e fu udito dal re sempre gratamente e con dimostrazione di averlo in riverenzia, in modo che allora giovò alla città, e poi quando el re fu in Firenze, sempre affaticandosi in beneficio della città.
      In sulla cacciata di Piero, parlando apertamente e dicendo avere da Dio quelle cose future che e' prediceva, ed avendo una audienzia ed una fede grandissima, voltosi alla conservazione de' cittadini ed a fare usare la clemenzia, e fatto perdonare a ser Giovanni che anche era amico suo, cominciò a predicare per parte di Dio, che Dio, non gli uomini, era quello che aveva liberato la città dalla tirannide e che Dio voleva si mantenessi libera e si riducessi a uno governo populare alla viniziana, el quale era piú naturale a questa terra che alcuno altro. E con tanta efficacia, o per virtú divina o per sua arte, ci si riscaldò su, che benché dispiacessi assai a Bernardo Rucellai, a Francesco Valori a Piero Capponi, a Lorenzo di Pierfrancesco, a' Nerli ed agli altri primi del governo, pure non opponendosi scopertamente, e sendo questa opera favorita dalla signoria, si cominciò a tenerne pratica, e finalmente apiccandosi, fu commesso a' gonfalonieri, a' dodici, a' venti, a' dieci, agli otto, che ognuno ordinassi un modo di vivere popolare.


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Storie fiorentine dal 1378 al 1509
di Francesco Guicciardini
pagine 382

   





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