Minore ambiguità fu ne' pisani, perché parendo loro essere stati rivenduti da' viniziani, e non si fidando delle promesse de' fiorentini e che e' patti avessino a essere loro osservati, non vollono in modo alcuno acconsentire, benché el duca di Milano tenessi pratiche ed ogni industria che e' si disponessino. E cosí el duca rimase ingannato delle ragioni per le quali si era affaticato su questo accordo, perché né e' viniziani gliene seppono grado, né e' fiorentini per la ostinazione de' pisani rimasono in modo espediti che si potessi valere di loro o di loro gente.
Fatto lo accordo ed osservato dalle parte principale, e' fiorentini entrorono in Bibbiena abandonata e gittorono le mura in terra, il che fu biasimato perché parve contro allo accordo, nel quale si era promesso perdonare agli uomini di Bibbiena; parve ancora disutile, perché per rispetto de' pisani pareva tempo da usare dolcezza. Pisa rimase in mano de' pisani, e cognoscendosi bisognava la forza, dirizzandosi gli animi a farne impresa, perché Pagolo Vitelli, fatto lo accordo, era ito a Castello non molto fermo colla città, vi fu mandato da' dieci Piero Corsini, el quale, fatte con lui nuove riconvenzione, lo ricondusse in quello di Pisa, e lui vi rimase commessario insieme con Pierfrancesco Tosinghi che vi era prima commessario per stanza.
Nel quale tempo avendosi a creare e' dieci di balía nuovi, e faccendosene secondo lo ordine le nominazioni in consiglio grande dove andorono sempre a partito e' primi uomini della città, non fu mai possibile ne vincessi nessuno, e benché la signoria ne facessi molte volte pruova, tutto fu vano, in modo che e' fu necessario lasciare la città in tempi di guerra e di imprese grande. sanza el magistrato de' dieci.
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