Comunque, dopo nove anni d'episcopato e di residenza a Digne, tutte queste ciarle, argomento di conversazione, sulle prime, di città piccole e di piccole menti, erano cadute in un profondo oblio. Nessuno avrebbe osato parlarne e nemmeno ricordarsene.
Monsignor Myriel era giunto a Digne accompagnato da una vecchia zitella, la signorina Baptistine, ch'era sua sorella ed aveva dieci anni meno di lui. Tutta la loro servitù si componeva d'una domestica della stessa età della signorina Baptistine che si chiamava la signora Magloire e che, serva del signor curato, riuniva ora il doppio ufficio di cameriera della signorina e di guardarobiera di monsignore.
La signorina Baptistine, lunga, pallida, smilza e dolce, traduceva in realtà l'ideale di ciò che esprime la parola «rispettabile» (poiché sembra necessario che una donna sia madre, per essere venerabile). Non era mai stata avvenente; ma tutta la sua vita non era stata che un succedersi d'opere sante, e aveva finito per imprimere su di lei una sorta di candore e di luminosità; invecchiando, ella aveva acquisito quella che si potrebbe chiamare la bellezza della bontà. Ciò che nella gioventù era stata magrezza, era divenuta trasparenza, nella maturità; e quella diafanità lasciava scorgere l'angelo. Era un'anima ancor più che una vergine. La sua persona sembrava fatta d'ombra; v'era a stento quel tanto di corpo che occorreva perché vi fosse un sesso, un po' di materia che conteneva un barlume di luce, un paio d'occhiali sempre bassi: il pretesto di un'anima per restar sulla terra.
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