E negò: insistettero, ed ella s'ostinò a negare. Vista la cosa, il procuratore del re ebbe un'idea; immaginò una infedeltà dell'amante e riuscì, con frammenti di lettera sapientemente presentati, a persuadere l'infelice che aveva una rivale e che quell'uomo l'ingannava. Allora, esasperata dalla gelosia, ella denunciò il suo amante, confessò tutto, diede le prove di tutto. L'uomo era perduto: fra poco sarebbe stato giudicato ad Aix, colla sua complice. Si narrava il fatto e tutti andavano in estasi per l'abilità del magistrato che, mettendo in mezzo la gelosia, aveva fatto scaturire la verità dalla collera e fatto uscire la giustizia dalla vendetta; il vescovo ascoltava ogni cosa in silenzio e, quando fu finito, chiese:
«Dove saranno giudicati quell'uomo e quella donna?»
«In corte d'assise.»
Egli ribatté: «E il signor procuratore del re, dove sarà giudicato?»
Accadde a Digne una tragica avventura. Un uomo fu condannato a morte per omicidio; era un disgraziato, né istruito né ignorante, aveva fatto il saltimbanco nelle fiere e lo scrivano pubblico. Il processo interessò molto la città. La vigilia del giorno fissato per l'esecuzione del condannato, il cappellano della prigione s'ammalò; mandarono per il curato che pare si rifiutasse, dicendo: «Non è cosa che mi riguardi: io non c'entro con queste noie e con quel saltimbanco. Anch'io sono malato; e poi, non è quello il mio posto.» Questa risposta fu riferita al vescovo, il quale disse: «Il curato ha ragione. Quel posto è mio, non suo.
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Aix Digne
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