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E andò difilato alla prigione, scese nella segreta del «saltimbanco», lo chiamò per nome, lo prese per mano e gli parlò. Passò tutto il giorno e tutta la notte con lui, dimenticando il cibo e il sonno, pregando Dio per l'anima del condannato ed il condannato per la sua stessa anima; gli disse le più belle verità, che sono le più semplici; fu per lui padre, fratello ed amico; vescovo, anche, ma solo per benedire. Gli insegnò tutto, rassicurandolo e consolandolo. Quell'uomo stava per morire disperato; la morte era per lui un abisso e, ritto e fremente sulla lugubre soglia, indietreggiava con orrore. Non era abbastanza ignorante per essere assolutamente indifferente, e la sua condanna, simile ad una profonda scossa, ave va, in un certo modo, rotto qua e là, intorno a lui, quel diaframma che ci separa dal mistero delle cose e che chiamiamo la vita. Da quelle brecce fatali, egli continuava a guardare al di là di questo mondo e non vedeva che tenebre; il vescovo gli fece vedere la luce.
L'indomani, quando vennero a cercar l'infelice, il vescovo era con lui e lo seguì; si mostrò agli occhi della folla in mantello viola, colla croce episcopale al collo, al fianco di quel misero legato. Salì con lui sulla carretta, salì sul patibolo con lui. Il paziente, così tetro ed accasciato il giorno prima, era raggiante: sentiva che la sua anima era riconciliata e confidava in Dio. Il vescovo l'abbracciò e, mentre il coltello stava per cadere, disse: «Quegli che l'uomo uccide, Dio risuscita; quegli che i fratelli scacciano, ritrova il Padre.
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Dio Dio Dio Padre
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