Mentre erano in angustie, fu portata e deposta al presbiterio all'indirizzo di monsignor vescovo una cassa, da parte di due cavalieri sconosciuti, che ripartirono immediatamente. La cassa fu aperta: conteneva un piviale di stoffa d'oro, una mitria adorna di diamanti, una croce archiepiscopale, un magnifico pastorale, tutti i paludamenti pontificali rubati un mese prima al tesoro di Nostra Signora d'Embrun. Nella cassa era un foglio di carta, con queste parole: Cravatte a monsignor Bienvenu.
«L'avevo detto, io, che tutto si sarebbe sistemato!» disse il vescovo, che aggiunse poi sorridendo: «A chi si accontenta di una cotta da curato, Dio manda un piviale d'arcivescovo.»
«Dio o il diavolo, monsignore,» mormorò il curato, crollando la testa con un sorriso.
Il vescovo guardò fisso il curato e ribatté autorevolmente: «Dio!»
Quando tornò a Chastelar, ed anche lungo tutto il percorso, venivano a guardarlo incuriositi. Ritrovò al presbiterio di Chastelar la signorina Baptistine e la signora Magloire che l'aspettavano e disse alla sorella:
«Ebbene, non avevo ragione? Il povero prete è andato dai poveri montanari a mani vuote e ritorna colle mani piene. Ero partito portando meco la sola fiducia in Dio e riporto il tesoro d'una cattedrale.»
La sera, prima di coricarsi, disse ancora: «Non dobbiamo mai temere i ladri e gli assassini; sono pericoli esterni, piccoli. Ma dobbiamo temere noi stessi. I pregiudizi, ecco i ladri; i vizi, ecco gli omicidi. I grandi pericoli sono in noi. Cosa importa quel che minaccia il nostro capo o la nostra borsa?
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