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      Un convenzionale gli faceva un po' l'effetto d'esser fuori della legge, anche della legge della carità.
      G., calmo, col busto quasi diritto e colla voce vibrante, era uno di quei grandi ottuagenari che riempiono di stupore il fisiologo. La rivoluzione ha avuto molti di questi uomini, proporzionati all'epoca; si sentiva in quel vecchio l'uomo a tutta prova, che, vicino alla fine, aveva conservato tutti i gesti della salute. Nella sua occhiata limpida, nel suo accento fermo, nel suo robusto moto delle spalle, c'era di che sconcertare la morte; Asrael, l'angelo maomettano del sepolcro, sarebbe tornato sui suoi passi ed avrebbe creduto d'aver sbagliato porta. Sembrava che G. morisse solo perché v'acconsentiva; v'era della libertà nella sua agonia. Solo le gambe erano immobili e le tenebre lo tenevan per quelle; i piedi erano morti e freddi, ma la testa viveva di tutta la possanza della vita e sembrava in piena luce. In quel solenne momento, G. assomigliava a quel re del racconto orientale, carne in alto e marmo in basso. Una pietra era lì presso; e il vescovo vi si sedette. L'esordio fu ex-abrupto.
      «Mi felicito con voi,» disse, con quel tono di voce con cui si fa un rimprovero. «Voi non avete votato la morte del re, almeno.»
      Il convenzionale non parve notare l'amaro sottinteso nascosto in quella parola almeno. Egli rispose, mentre il sorriso scompariva dal suo viso: «Non vi felicitate troppo, signore; io ho votato la fine del tiranno.»
      Era l'accento austero, di fronte all'accento severo.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





Asrael