Siete un prelato; rendite, palazzi, cavalli, servitori, buona tavola, anche voi avete, come gli altri, tutte le sensualità della vita; e come gli altri ne godete. Sta bene; ma questo dice troppo e non dice abbastanza; non colla probabile pretesa di recarmi la saggezza. A chi sto parlando? Chi siete?»
Il vescovo abbassò il capo e rispose: «Vermis sum.»
«Un verme in carrozza!» brontolò il convenzionale. Toccava ora al convenzionale d'essere altero ed al vescovo umile.
Il vescovo ribatté con dolcezza:
«E sia, signore; ma vogliatemi spiegare in che modo la mia carrozza, che è qui a due passi, dietro gli alberi e la mia buona tavola e le folaghe che mangio al venerdì e le mie venticinquemila lire di rendita e il mio palazzo e i miei lacché dimostrino che la pietà non è una virtù, che la clemenza non è un dovere e che il 93 non è stato inesorabile.»
Il convenzionale si passò una mano sulla fronte, come per allontanarne una nube.
«Prima di rispondervi,» disse «vi prego di perdonarmi. Ho avuto torto, signore; siete in casa mia, siete mio ospite ed io vi sono in obbligo di cortesia. Voi discutete le mie idee ed io debbo limitarmi a combattere i vostri ragionamenti. Le ricchezze e gli agi vostri mi danno nella discussione un vantaggio su di voi; ma è di buon gusto, da parte mia, non servirmene. Vi prometto che non l'userò più.»
«Vi ringrazio,» disse il vescovo.
G. rispose:
«Torniamo alla spiegazione che mi chiedevate. Dove eravamo? Cosa dicevate? Che il 93 è stato inesorabile?»
«Inesorabile sì,» disse il vescovo.
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