«L'infinito esiste ed è là. Se l'infinito non avesse un io, l'io sarebbe il suo limite; perciò non sarebbe infinito o, in altre parole, non esisterebbe. Ora, dal momento ch'esso è, ha un io ; quest'io dell'infinito è Dio.»
Il morente aveva pronunciato queste ultime parole a voce alta e col fremito dell'estasi, come se vedesse qualcuno. Quand'ebbe finito di parlare, gli si chiusero gli occhi; lo sforzo l'aveva spossato. Era evidente che in quell'attimo aveva vissuto le poche ore che gli rimanevano e che quanto aveva detto l'aveva avvicinato a colui che è nella morte. L'istante supremo stava per giungere.
Il vescovo lo capì. Il momento urgeva ed egli era venuto come prete; ma, dall'estrema freddezza, era passato alla profonda commozione. Guardò quegli occhi chiusi, prese quella vecchia mano rugosa e gelida e si chinò verso il moribondo:
«Quest'è l'ora di Dio. Non credete che sarebbe triste che ci fossimo incontrati invano?»
Il convenzionale riaperse gli occhi e sul suo viso si dipinse una gravità in cui v'era già l'ombra.
«Signor vescovo,» disse, con una lentezza che, forse, proveniva più dalla dignità dell'animo che dall'affievolirsi delle forze «ho trascorso la vita nella meditazione, nello studio e nella contemplazione. Avevo sessant'anni, quando il paese mi chiamò e m'ordinò d'occuparmi dei suoi affari. Ubbidii; c'erano degli abusi e li combattei, c'erano tirannie e le distrussi, c'erano diritti e principî ed io li proclamai e sostenni. Il territorio era invaso e lo difesi; la Francia era minacciata ed io offersi il mio petto.
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Dio Dio Francia
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