Aveva freddo e fame e, se alla fame s'era rassegnato, quello era almeno un riparo contro il freddo; quelle costruzioni, di solito, non sono abitate di notte. Bocconi s'introdusse nel capanno; c'era un bel calduccio e un letto di paglia abbastanza buono. Rimase un momento disteso su quel letto senza poter fare un movimento, tanto era stanco, poi, siccome il sacco che aveva dietro le spalle gli dava noia, mentre poteva essere un ottimo origliere, si mise a sfibbiare le cinghie; ma in quel momento si fece sentire un selvatico brontolìo. Alzò il capo: la testa d'un enorme alano si profilava nell'ombra contro l'apertura del capanno, che era la cuccia d'un cane.
Anch'egli era vigoroso e formidabile; si armò del bastone, si fece scudo del sacco ed uscì dalla cuccia come potè, non senza aver allargato gli strappi dei suoi cenci. Uscì dal giardino, rinculando e costretto, per tenere in rispetto il cane, a ricorrere a quella manovra del bastone che i maestri di questo genere di scherma chiamano la rosa coperta. Quando, a fatica, ripassata la sbarra, si ritrovò nella via, solo, senz'asilo, senza letto e senza riparo, scacciato financo da quel letto di paglia e da quella misera cuccia, si lasciò cadere, più che non si sedesse, sopra una pietra; e pare che un passante l'udisse esclamare: «Non sono nemmeno un cane!»
Rialzatosi quasi subito si rimise in cammino, uscendo dalla città, nella speranza di trovar nei campi ricovero sotto un albero o qualche mucchio di fieno. Camminò così per qualche tempo, a testa bassa; quando si sentì lontano da ogni abitazione umana, alzò gli occhi e si guardò intorno.
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