Era in un campo dinanzi a una di quelle basse colline coperte di stoppie completamente falciate che, dopo la mietitura, somigliano a teste rapate.
L'orizzonte era affatto buio; per la profonda oscurità, per le nubi bassissime che pareva poggiassero proprio sulla collina e salissero, riempiendo tutto il cielo. Poiché la luna stava per spuntare ed ondeggiava ancora allo zenit un bagliore crepuscolare, quelle nuvole formavano, negli alti strati, una specie di volta biancastra, dalla quale si proiettava sulla terra un pallido chiarore. La terra era quindi più chiara del cielo, effetto, questo, stranamente sinistro, e la collina, dal profilo rachitico e meschino, spiccava incerta e scialba sull'orizzonte tenebroso; tutto era ripugnante, piccolo, lugubre e limitato. Nulla, nel campo, e nulla sulla collina, un albero deforme, gemeva, fremendo, a pochi passi dal viandante.
Quell'uomo era evidentemente lontanissimo da quelle delicate abitudini dell'intelligenza e dell'animo che rendono sensibili ai misteriosi aspetti delle cose; pure v'era in quel cielo, in quella collina, in quella pianura e in quell'albero qualche cosa di tanto profondamente desolato, che, dopo un istante d'immobilità e di meditazione, ritornò bruscamente indietro. Vi sono momenti in cui la natura sembra ostile.
Ritornò sui suoi passi. Le porte di Digne erano chiuse, la città, che ha sostenuto parecchi assedii durante le guerre di religione, era ancora circondata, nel 1815, da vecchie mura, fiancheggiate da torri quadrate poi demolite.
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Digne
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