La sorella, mamma Jeanne, gli levava spesso dalla scodella, mentre stava mangiando, il meglio del suo pasto, il pezzo di carne, la fetta di lardo, il cuore del cavolo, per darlo a qualcuno dei figli; ed egli, sempre mangiando, chino sulla tavola, colla testa quasi nella minestra e coi lunghi capelli che ricadevano intorno alla scodella e gli nascondevan gli occhi, aveva l'aria di non veder nulla e lasciava fare. C'era a Faverolles, poco lontano dalla capanna dei Valjean, dall'altra parte della stradicciola, una fattoressa che si chiamava Maria Claudia; i bimbi Valjean, di solito affamati, andavano qualche volta a farsi prestare, in nome della mamma, una pinta di latte da Maria Claudia e se la bevevano dietro una siepe o in qualche angolo d'un viale, strappandosi il vaso l'un l'altro e con tanta furia, che le bambine se lo rovesciavano sul grembiule o nell'apertura del vestito. Se la madre avesse saputo di quel furto, avrebbe severamente corretto i delinquenti; ma Jean, brusco e brontolone, pagava a Maria Claudia, di nascosto dalla madre, la pinta di latte, ed i bambini non erano puniti.
Nella stagione della potatura egli guadagnava ventiquattro soldi al giorno, poi si collocava come mietitore, come manovale, come garzone bovaro, come uomo di fatica; faceva, insomma, quel che poteva. La sorella lavorava per conto suo; ma come fare, con sette ragazzi? Essi formavano un triste gruppo, che la miseria avvolse e strinse a poco a poco nelle sue spire. Avvenne che un inverno fu aspro e Jean non ebbe lavoro.
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