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      Ma poi si chiese: Era il solo che avesse avuto torto nella sua fatale storia? E, prima di tutto, non era cosa grave che a lui, lavoratore, fosse mancato il lavoro e che a lui, laborioso, fosse mancato il pane? Eppoi, una volta commesso e confessato il fatto, il castigo non era forse stato feroce ed eccessivo? Egli si chiese ancora se non v'era stato maggior abuso da parte della legge nella pena, di quanto non ci fosse stato abuso da parte del colpevole nella colpa; se non v'era eccesso di peso in uno dei piatti della bilancia, in quello dell'espiazione: se il sovrappiù della pena non finiva per cancellare il delitto e portare al solo risultato di capovolgere la situazione, di sostituire alla colpa del delinquente quella della repressione, di fare del colpevole la vittima, del debitore il creditore e di mettere in definitiva il diritto dalla parte di quello stesso che l'aveva violato. Si rivolse la domanda se codesta pena complicata dai successivi inasprimenti per i tentativi d'evasione, non finisse per essere una specie di sopruso del più forte sul più debole, un reato della società sull'individuo, un delitto che si rinnova quotidianamente, una colpa che durava da diciannove anni.
      E si chiese inoltre se la società umana potesse avere il diritto di far ugualmente subire ai suoi membri, nell'un caso la sua irragionevole imprevidenza, nell'altro la sua previdenza spietata, e di ghermire per sempre un poveretto, fra una deficienza e un eccesso; deficienza di lavoro, eccesso di castigo.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886