Si chiese se non fosse esorbitante che la società trattasse così per l'appunto quei suoi membri peggio dotati nella ripartizione dei beni fatta dal caso, e per conseguenza più degni d'essere risparmiati.
Poste e risolute queste domande, egli giudicò la società e la condannò: la condannò al suo odio, la rese responsabile della sorte che subiva e si disse che forse, un giorno, non avrebbe esitato a chiedergliene conto. Poi dichiarò a se stesso che non v'era equilibrio fra il danno ch'egli aveva prodotto e quello che veniva fatto a lui, e concluse finalmente che il suo castigo non era, in verità, un'ingiustizia, ma senza dubbio un'iniquità.
La collera può essere pazza e assurda e si può essere irritati a torto; ma si è indignati solo quando, in fondo, si ha ragione per qualche aspetto. Jean Valjean si sentiva indignato.
E poi, la società umana gli aveva fatto soltanto male. Egli non aveva mai scorto di essa se non quel volto corrucciato che si chiama la sua giustizia, e che mostra a coloro ch'essa colpisce; gli uomini l'avevano toccato solo per batterlo ed ogni contatto con essi era stato una percossa; né mai, dopo la sua infanzia, dopo sua madre, sua sorella, aveva incontrato una parola amica e uno sguardo benevolo. Di sofferenza in sofferenza giunse alla conclusione che la vita è una guerra e che in questa egli era il vinto; aveva per unica arma l'odio, e decise di affilarla in carcere e di portarla seco uscendone.
V'era a Tolone una scuola per i galeotti, tenuta dai frati Ignorantini, nella quale s'insegnavan le cose più necessarie a coloro che, fra quei disgraziati, avessero buona volontà; egli fu del numero.
| |
Valjean Tolone Ignorantini
|