Talvolta saliva così fino sul tetto della prigione.
Parlava poco e non rideva mai, o quasi. Ci voleva qualche straordinaria emozione per strappargli, una o due volte allo anno, quello smorto sorriso del forzato che è come un'eco del riso del demonio. A vederlo, pareva occupato a guardare continuamente qualcosa di terribile: in realtà era assorto.
Attraverso le deboli percezioni d'una natura incompleta e d'una intelligenza oppressa, egli sentiva in confuso che una cosa enorme pesava su lui. Ogni qualvolta, nella penombra oscura e scialba in cui strisciava, volgeva il capo e cercava d'alzare lo sguardo, vedeva con una specie di terrore misto all'ira ergersi, troneggiare e alzarsi a perdita d'occhio su di lui, con orribili pareti a picco, una massa spaventosa di cose, leggi, pregiudizi, d'uomini e di fatti, di cui gli sfuggivano i contorni, ma che lo sbigottiva, e non era altro che quella prodigiosa piramide chiamata civiltà. In quell'insieme formicolante e deforme distingueva qua e là, ora vicino ora lontano, su rialzi inaccessibili, qualche gruppo, qualche particolare vivamente illuminato: qui l'aguzzino e il suo bastone, più in là il gendarme e la sciabola, laggiù l'arcivescovo mitrato e, in alto in alto, l'imperatore incoronato e splendente. E gli pareva che quei lontani splendori, anziché dissipare le sue tenebre, le rendessero più macabre e più tetre; leggi, pregiudizi, fatti, uomini e cose, tutto andava e veniva sopra di lui, secondo il complicato e misterioso moto che Dio imprime alla civiltà, tutto camminava su di lui e lo calpestava con non so che di tranquillo nella crudeltà e d'inesorabile nell'indifferenza.
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Dio
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