Egli getta in quella profondità grida disperate. Oh, quale spettro, quella vela che se ne va! Egli la guarda, la guarda freneticamente; essa s'allontana, scolora, impicciolisce... E dire che poc'anzi era là egli pure, faceva parte dell'equipaggio, andava e veniva sul ponte, cogli altri, aveva la sua parte di respiro e di sole, era vivo, insomma! Che è successo, dunque? È scivolato, è caduto ed è perduto.
È nell'acqua mostruosa, ha sotto i piedi solo fuga e ruina; le onde, stracciate, sbriciolate dal vento, lo circondano orrendamente e il dondolìo dell'abisso lo porta via. Tutti i flutti s'agitano intorno al suo capo, una folla d'onde gli sputa addosso, confuse aperture lo inghiottono; ogni qual volta s'inabissa, intravede precipizî pieni di tenebre, e spaventose vegetazioni sconosciute l'afferrano, gli legano i piedi e l'attirano a sè. Egli sente che diventa abisso, che fa parte della schiuma e che le onde se lo buttano dall'una all'altra; beve l'amarezza, mentre il vile oceano s'accanisce nell'annegarla e l'immensità giuoca colla sua agonia. Sembra che tutta quell'acqua si sia fatta odio.
Pure egli lotta e tenta di difendersi, di sostenersi; fa uno sforzo e nuota. Egli, povera forza subito stanca, combatte l'instancabile.
Dov'è dunque la nave? Laggiù, appena visibile nelle pallide tenebre dell'orizzonte.
Fischiano le raffiche e tutte le schiume l'opprimono; alza gli occhi e scorge il lividore delle nubi. Assiste, agonizzante, all'immensa follìa del mare, che lo sta suppliziando; ed avverte rumori sconosciuti all'uomo, che gli sembrano provenire da oltre la terra, da non so quale mondo.
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