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      Suonarono le tre: riaperse gli occhi, si rizzò bruscamente a sedere, stese le braccia e tastò il suo zaino, che aveva buttato in un angolo dell'alcova, poi lasciò spenzolare le gambe, posò i piedi in terra e si ritrovò, quasi senza saper come, seduto sul letto.
      Rimase per qualche tempo meditabondo in quell'atteggiamento, che avrebbe avuto alcunché di sinistro per chiunque avesse potuto scorgerlo in quell'ombra, a quel modo, solo sveglio in una casa addormentata. Ad un tratto s'abbassò, si levò le scarpe e le posò dolcemente sulla stuoia vicina al letto; poi riprese il suo atteggiamento di meditazione immobile.
      In quella vergognosa meditazione entravano e si movevano senza tregua le idee che abbiamo già accennate, uscendo, rientrando e come facendo leva sopra di lui; e poi egli andava pensando, senza perché, con quella macchinale ostinazione dell'idea fissa, a un forzato conosciuto al bagno, un certo Brevet, i pantaloni del quale erano tenuti su soltanto da una bretella di maglia di cotone. Il disegno a scacchi di quella bretella gli ritornava alla mente senza posa.
      Stava dunque in quella situazione e vi sarebbe rimasto indefinitivamente fino al sorger del giorno, se l'orologio non avesse battuto un colpo: il quarto o la mezz'ora. E gli parve che quel colpo gli dicesse: Suvvìa!
      S'alzò in piedi, esitò ancora un momento e stette in ascolto: tutto taceva, nella casa. Allora s'avviò diritto, a piccoli passi, verso la finestra che intravedeva nel buio. La notte non era scura; nel cielo splendeva la luna piena, sulla quale correvano grosse nubi, spinte dal vento; ciò produceva all'esterno alternative d'ombra e di luce, eclissi e sùbite schiarite, mentre, all'interno, perdurava una specie di crepuscolo che era bastante per orientarsi e intermittente per via delle nubi, e somigliava a quella sorta di luce livida che entra dal finestrino d'una cantina, davanti al quale vanno e vengono i passanti.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





Brevet Suvvìa