C'era quasi una divinità in quell'uomo inconsapevolmente tanto augusto.
Valjean, dal canto suo, stava nell'ombra, il paletto di ferro in mano, ritto, immobile, spaventato da quel vecchio luminoso; non aveva mai visto nulla di simile. Quella fiducia lo spaventava; il mondo morale non ha spettacolo più grande d'una coscienza turbata e inquieta, giunta sull'orlo d'una cattiva azione, che contempla il sonno d'un giusto. Quel sonno, in quell'isolamento e con un vicino come lui, aveva una sublimità ch'egli sentiva in modo vago, ma imperioso.
Nessuno avrebbe potuto dire quel che accadeva in lui, neppur egli stesso; per cercare di rendersene conto, s'immagini ciò che è più violento al cospetto di ciò che è più dolce. Nemmeno sul suo viso si sarebbe potuto distinguere qualcosa con certezza. Era una specie di stupore sdegnoso: guardava, ed era tutto. Ma quale era il suo pensiero? Impossibile indovinarlo. Era evidentemente scosso e sconvolto; ma di che natura era quella emozione?
Il suo occhio non si staccava dal vecchio. La sola cosa chiara del suo atteggiamento e della fisionomia era una strana indecisione; si sarebbe detto esitasse fra due abissi, quello in cui ci si perde e quello in cui ci si salva, altrettanto pronto a fendere quel cranio come a baciar quella mano.
In capo a pochi istanti, alzò lentamente verso la fronte il braccio sinistro e si levò il berretto; poi lasciò ricadere il braccio colla stessa lentezza e rientrò nella sua contemplazione, col berretto nella sinistra, la clava nella destra e i capelli irti sulla testa selvaggia.
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