Egli vi pose sopra un piedePerò il fanciullo, seguìta coll'occhio la moneta, aveva veduto dov'era andata a finire. Non si stupì e si diresse verso l'uomo.
Il luogo era solitario. Fin dove lo sguardo poteva arrivare, non si vedeva nessuno nella pianura, né sul sentiero; solo i deboli gridi d'uno stormo d'uccelli di passaggio attraversavano il cielo ad immensa altezza. Il fanciullo voltava le spalle al sole, che gli seminava di fili d'oro i capelli e imporporava d'un sanguigno bagliore la faccia feroce di Valjean.
«Signore,» disse il piccolo savoiardo, con quella infantile fiducia fatta per metà d'ignoranza per metà d'innocenza «la mia moneta?»
«Come ti chiami?» gli chiese Valjean.
«Gervasino, signore.»
«Vattene,» fece Valjean.
«Signore,» insistette il fanciullo «rendetemi la mia moneta.»
Valjean abbassò il capo e non rispose; ed il fanciullo ricominciò:
«La mia moneta, signore!»
L'occhio di Valjean rimase fisso a terra.
«La mia moneta!» gridò il fanciullo. «La mia moneta d'argento! Il mio denaro!»
Pareva che Valjean non lo sentisse neppure. Il ragazzo lo prese per il bavero del camiciotto e lo scosse, mentre faceva grandi sforzi per smuovere la grossa scarpa ferrata che s'appoggiava sul suo tesoro.
«Voglio la mia moneta! La mia moneta da quaranta soldi!»
Il fanciullo piangeva. Valjean rialzò il capo; stava sempre seduto ed aveva gli occhi torbidi. Osservò il fanciullo con una specie di stupore, poi stese la mano verso il bastone e gridò con voce terribile: «Chi va là?» «Sono io, signore,» rispose il fanciullo.
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Valjean Valjean Valjean Valjean Valjean
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