Dominava Decazes, ch'era, entro dati limiti, mente liberale. Chateaubriand, ritto ogni mattina dietro alla finestra di casa sua, al numero 27 di via San Domenico, in pantofole e calzoni terminanti a soletta, coi grigi capelli avvolti in un fazzoletto e gli occhi fissi sullo specchio, si puliva i denti, bellissimi, tenendo davanti un astuccio completo da dentista, mentre dettava a Pilorge, suo segretario, alcune variazioni della Monarchia secondo la Carta. La critica autorevole preferiva Lafon a Talma. Féletz firmava A., Hoffman firmava Z.; Carlo Nodier scriveva Teresa Aubert. Il divorzio era abolito. I licei si chiamavano collegi ed i collegiali, col colletto dal fiordaliso d'oro, facevano a cazzotti a proposito del re di Roma. La contro polizia di palazzo denunciava a sua altezza reale cognata del re il ritratto, esposto dappertutto, del duca d'Orléans, il quale stava meglio nell'uniforme di colonnello generale degli ussari che non il duca di Berry nell'uniforme di colonnello generale dei dragoni: grave inconveniente. La città di Parigi faceva ridorare la cupola degli Invalidi, a sue spese. Gli uomini serî si chiedevano che cosa avrebbe fatto, nella tale o tal'altra circostanza, Trinquelague; Clausel di Montal dissentiva su diversi punti da Clausel di Coussergues; Salaberry non era contento. Il commediante Picard, membro di quell'Accademia alla quale non aveva potuto appartenere il commediante Molière, faceva rappresentare I due Filiberti all'Odéon, sul frontone del quale certe lettere semicancellate lasciavano ancor leggere distintamente Teatro dell'Imperatrice.
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