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      A dieci anni, Fantine lasciò il paese e andò a servire presso alcuni fattori dei dintorni; a quindici, venne a Parigi a «cercar fortuna». Era bella e rimase pura più a lungo che poté. Graziosa, bionda, bei denti, aveva per dote oro e perle, ma l'oro era sul suo capo e le perle nella bocca.
      Lavorò per vivere e poi, sempre per vivere, poiché anche il cuore ha fame, amò. Amò Tholomyès e, se per lui si trattò d'un amorazzo, per lei fu una passione. Le vie del quartiere latino, formicolanti di studenti e sartine, videro il principio di quel sogno; Fantine, in quei dedali della collina del Pantheon in cui s'intrecciano e sciolgono tante avventure, aveva fuggito a lungo Tholomyès, in modo da tornarlo sempre ad incontrare. V'è un modo d'evitare molto simile al cercare; per farla breve, l'egloga ebbe luogo.
      Blanchevelle, Listolier e Fameuil formavano come un gruppo di cui Tholomyès era il capo; era il cervello della compagnia.
      Tholomyès era il tipo perfetto dell'eterno studente. Ricco, disponeva di quattromila franchi di rendita, splendido scandalo sulla montagna di Santa Genoveffa. Era un gaudente trentenne, mal conservato, grinzoso e sdentato; della sua calvizie incipiente diceva, senza malinconia: Cranio a trent'anni, ginocchio a quaranta. Digeriva male, il che gli aveva prodotto una lacrimazione ad un occhio. A mano a mano che la sua gioventù si spegneva, riattizzava la sua allegria; sostituiva i denti coi lazzi, i capelli colla gioia, la salute coll'ironia ed il suo occhio lagrimoso rideva senza posa: un rudere, tutto in fiore.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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