Abbiamo detto che Fantine era la gioia; ma era anche il pudore. Gli occhi d'un osservatore che l'avesse studiata attentamente avrebbero visto sprigionarsi da lei, attraverso tutta quell'ebbrezza dell'età, della stagione e delle passioncelle, un'invincibile espressione di sostenuta modestia. Sembrava sempre un po' stupita di quel casto pudore, sfumatura che separa Psiche da Venere, bianche dita affusolate e fini da vestale che rimuove le ceneri del fuoco sacro con uno spillone d'oro. Sebbene, come si vedrà purtroppo, non avesse nulla ricusato a Tholomyès, il suo viso, in riposo, era austeramente verginale; una specie di dignità seria e quasi austera l'invadeva all'improvviso in certe ore e nulla era più singolare e conturbante del vedere all'improvviso spegnervisi sopra l'allegria e il raccoglimento tener dietro alla serenità. Quella subitanea gravità, talvolta severamente marcata, somigliava allo sdegno d'una dea. La fronte, il naso e il mento offrivano quell'equilibrio di linee, distinto dall'equilibrio delle proporzioni, dal quale risulta l'armonia del volto; nell'intervallo così caratteristico che separa la base del naso dal labbro superiore aveva quella piega impercettibile ed incantevole, misterioso segno della castità, che fece innamorare il Barbarossa d'una Diana trovata negli scavi d'Iconio.
L'amore è una colpa? Sia; ma Fantine era l'innocenza che affiora sulla colpa.
IV • THOLOMYES È COSÌ ALLEGRO CHE CANTA UNA CANZONE SPAGNUOLAQuella giornata era tutta un'aurora. La natura pareva in vacanza, e rideva.
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