«Amici,» esclamò Tholomyès coll'accento di chi riprende il comando «ritornate in voi. Questa freddura caduta dal cielo non sia accolta con soverchio stupore; non tutto ciò che cade in questo mondo è necessariamente degno d'entusiasmo e rispetto. Il giuoco di parole è lo stesso del pensiero che vola; il lazzo cade chissà dove e il pensiero, evacuata una sciocchezza, si sprofonda nell'azzurro. Una chiazza biancastra su una roccia non toglie al condor di volare in larghe ruote. Lungi da me l'insulto al giuoco di parole! Ma io lo onoro in proporzione dei suoi meriti e nulla più; so bene che tutto ciò che v'è stato di più augusto, più sublime e più incantevole nell'umanità, e magari fuori, ha fatto giuochi di parole; Gesù Cristo ne ha fatto uno su san Pietro, Mosè su Isacco, Eschilo su Polinice, Cleopatra su Ottavio. E notate bene che quel frizzo di Cleopatra ha preceduto la battaglia d'Azio e senza di esso, nessuno si ricorderebbe della città di Toryna, nome greco che significa cucchiaione da tavola. Riconosciuto questo, torno alla mia esortazione. Ripeto, fratelli: niente zelo, niente gazzarra, niente eccesso, nemmeno in frizzi, scherzi, giocondità e freddure. Ascoltatemi, perché in me sono la prudenza d'Anfiarao e la calvizie di Cesare; ci vuole un limite, anche ai rebus; est modus in rebus. E un limite anche nei pranzi. Vi piacciono i pasticcini di mele, signore? Sia, ma non abusatene; anche per pasticcini ci vogliono buon senso e arte. La ghiottoneria punisce il ghiottone, Gula castiga Gulax e l'indigestione è incaricata dal buon Dio di far la morale agli stomaci.
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