Le due donne conversarono.
«Mi chiamo Thénardier,» disse la madre delle due piccole «e sono la padrona di quest'albergo.»
Poi, sempre badando alla sua romanza, riprese fra i denti:
Debbo farlo, chè son cavaliero:
Partir debbo per la Palestina.
Quella Thénardier era una donna rossa, grossa e massiccia, il tipo della donna soldato in tutta la sua mala grazia; ma, cosa bizzarra, con un'aria leziosa, ch'ella doveva a letture romantiche. Era una virago smorfiosa; i vecchi romanzi, finendo di logorarsi sulle immaginazioni delle bettoliere, producono questi effetti. Ancor giovane, aveva appena trenta anni, se, anziché raggomitolata, fosse stata ritta in piedi, la sua statura e le sue spalle quadre da colosso ambulante da fiera avrebbero spaventato la viaggiatrice, turbandone la fiducia e facendo svanire quello che racconteremo. Sia seduta una persona, invece che in piedi, e i destini ne dipenderanno.
La viaggiatrice raccontò la propria storia, un po' modificata. Disse che era operaia, le era morto il marito e a Parigi le mancava il lavoro, per cui andava a cercarlo altrove, al suo paese; aveva lasciato Parigi quella mattina, a piedi e, siccome portava la sua bambina e si sentiva stanca, avendo incontrato la vettura di Villemomble, vi era salita; da Villemomble a Montfermeil era venuta a piedi, la piccola aveva camminato un poco, ma non tanto, per la sua età aveva dovuto prenderla in braccio e il suo tesoro s'era addormentato.
Dicendo queste parole, diede alla figlia un bacio appassionato, che la svegliò. La bimba aperse gli occhi, due occhioni azzurri come quelli della madre e guardò: che cosa?
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