TRENTACINQUE FRANCHI PER LA MORALEQuando Fantine vide che aveva da vivere si rallegrò: quale grazia del cielo, vivere onestamente del proprio lavoro! Si comperò uno specchio e si compiacque di rimirarvi la sua giovinezza, i bei capelli ed i bei denti; dimenticò molte cose, pensò solo alla sua Cosette ed al possibile avvenire e fu quasi felice. Prese a pigione una cameretta e l'ammobigliò a credito, sul lavoro futuro: avanzo delle sue abitudini disordinate.
Poiché non poteva dire d'essere maritata, s'era ben guardata, come già abbiamo previsto, di parlare della sua bambina.
In quei tempi, s'è visto, pagava con puntualità i Thénardier. Non sapendo scrivere, ma solo firmare, era costretta a far scrivere da uno scrivano pubblico; lo faceva spesso, e la cosa fu notata, tanto che nel laboratorio delle donne s'incominciò a mormorare: Fantine «scriveva lettere», «aveva qualche intrigo».
Nessuno è meglio adatto a spiare le azioni d'una persona, di coloro cui non riguardano. «Perché quel signore viene soltanto quand'è buio? Perché il tal dei tali, di giovedì, non appende mai la chiave al gancio? Perché prende sempre per straducciuole? Perché la signora scende sempre dalla vettura di piazza prima di arrivare a casa? Perché manda a comperare una busta di carta da lettere, quando ne ha lo scrittoio pieno?» Esistono esseri che, per conoscere la chiave di codesti enigmi, del resto a loro indifferentissimi, spendono più denaro, prodigano più tempo e si danno più da fare di quanto non occorrerebbe per dieci opere buone; e questo gratuitamente, senz'essere ripagati della curiosità che colla curiosità. Seguiranno il tale o la tal'altra per giorni interi, faranno la sentinella per qualche ora buona agli angoli d'una strada, sotto la porta d'un androne, di notte, col freddo e la pioggia, corromperanno fattorini, faranno ubriacare cocchieri e servitori, compreranno una cameriera, trarranno dalla loro un portiere.
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