Oh, come avrebbe desiderato d'andare a Parigi! Ma era impossibile.
Dovette abituarsi alla cattiva considerazione, come alla miseria. A poco a poco prese la sua decisione; dopo due o tre mesi scosse da sé la vergogna e tornò ad uscire, come se nulla fosse. «M'è indifferente,» disse. Si mise ad andare e venire a testa alta, con un amaro sorriso: e sentì che diveniva sfrontata.
Talvolta, la signora Victurnien, vedendola passare sotto le sue finestre, notava la miseria di «quella creatura», per grazia sua «rimessa a posto», e si felicitava. I malvagi hanno una loro tetra felicità.
L'eccesso di lavoro stancava Fantine e la sua tossetta secca era aumentata. Diceva talvolta alla sua Margherita: «Tastatemi le mani dunque! Sentite come sono calde.»
Pure, al mattino, quando con un vecchio pettine rotto andava pettinando i suoi bei capelli di seta, aveva un istante di civetteria felice.
X • CONTINUA IL SUCCESSOEra stata licenziata verso la fine dell'inverno. Passò l'estate, tornò l'inverno: giornate corte, minor lavoro. D'inverno, né calore, né luce, né pien meriggio; la sera e il mattino si confondono, tutto è nebbia e crepuscolo, la finestra è appannata e non ci si vede bene. Il cielo è uno spiraglio, come l'intera giornata è una cantina: il sole ha l'aria d'un povero. Stagione spaventosa! L'inverno muta in pietra l'acqua del cielo ed il cuore dell'uomo; ed i creditori la tormentavano.
Fantine guadagnava troppo poco, ed i debiti erano cresciuti. I Thénardier, mal pagati, le scrivevano ogni momento lettere che la rattristavano per il contenuto e la dissanguavano per la spesa di porto.
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