Quell'elegante fumava, poiché la moda così voleva.
Ogni qual volta quella donna gli passava davanti, egli le buttava, insieme con una boccata di fumo del sigaro, qualche apostrofe che credeva spiritosa e gioconda, come: «Quanto sei brutta! Vatti a nascondere! Non hai denti!» eccetera. Quel signore si chiamava Bamatabois. La donna, triste spettro imbellettato che andava e veniva sulla neve, non gli rispondeva e non lo guardava neppure, il che non le impediva di compiere in silenzio e con monotona regolarità la sua passeggiata, che la riconduceva di cinque in cinque minuti sotto il sarcasmo, come il soldato condannato ritorna sotto le verghe. Lo scarso effetto ottenuto urtò senza dubbio l'ozioso che, approfittando d'un momento in cui ella si voltava, avanzò dietro di lei in punta di piedi e, soffocando una risata, si chinò, prese sul selciato una manata di neve e gliela cacciò bruscamente nella schiena, fra le spalle nude. La sgualdrina emise un ruggito, balzò come una pantera e si scagliò sull'uomo, ficcandogli le unghie sul viso, colle più spaventose frasi che possano cadere nel fango della strada da un corpo di guardia. Quelle ingiurie, vomitate da una voce arrochita dall'acquavite, uscivano sconciamente da una bocca alla quale mancavano infatti i due denti anteriori: era Fantine.
Al chiasso, gli ufficiali uscirono in folla dal caffè, i passanti s'assembrarono, si formò un capannello che rideva, fischiava, applaudiva, intorno a quel turbine di due esseri, in cui si stentava a riconoscere un uomo e una donna, poiché l'uomo si dibatteva, col cappello in terra, e la donna picchiava coi piedi e coi pugni, scapigliata e urlante, senza denti e senza capelli, livida di collera, orribile.
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Bamatabois Fantine
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