Tutti i sentimenti, come tutti i ricordi che si sarebbero potuti supporre in lui erano scomparsi e non v'era altro, su quel viso impenetrabile e semplice come il granito, che una tristezza cupa; tutta la sua persona spirava umiliazione, fermezza e non so quale dignitoso abbattimento.
Finalmente, il sindaco depose la penna e si voltò per metà. «Ebbene, che c'è? Che succede, Javert?»
Javert rimase un istante silenzioso, come se si raccogliesse; poi alzò la voce, con una specie di triste solennità, che pure non escludeva la semplicità:
«Succede, signor sindaco, che è stata commessa una colpa.»
«Quale?»
«Un agente inferiore dell'autorità ha mancato di rispetto ad un magistrato nel modo più grave. Vengo, com'è mio dovere, a recare il fatto a vostra conoscenza.»
«Chi è quest'agente?» chiese Madeleine.
«Io,» disse Javert.
«Voi?»
«Io.»
«E chi è il magistrato che avrebbe a dolersi dell'agente?»
«Voi, signor sindaco.»
Madeleine si rizzò sulla poltrona; e Javert proseguì, coll'aria severa e lo sguardo sempre basso:
«Signor sindaco, vengo a pregarvi di farmi il favore di provocare da parte dell'autorità la mia destituzione.»
Madeleine, stupefatto, aperse la bocca. Javert l'interruppe.
«Voi direte che avrei potuto dare le dimissioni; ma ciò non basta. Dar le dimissioni è onorevole: ora, io ho sbagliato e debbo essere punito. Bisogna che sia scacciato.»
Dopo una pausa, aggiunse:
«Signor sindaco, l'altro giorno, siete stato severo con me, ingiustamente. Siatelo oggi, giustamente.»
«Davvero? E perché?» esclamò Madeleine.
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