Vi chiedo perdono, signor sindaco.»
Nel rivolgere questa frase supplichevole e grave a colui che, sei settimane prima, l'aveva umiliato in pieno corpo di guardia e gli aveva detto: uscite!, Javert, quell'uomo altero, era, a sua insaputa, pieno di semplicità e dignità. Madeleine rispose alla sua preghiera solo con questa brusca domanda:
«E quell'uomo, che cosa dice?»
«Diamine, signor sindaco! La faccenda è brutta; se è Jean Valjean, v'è la recidiva. Scavalcare un muro, rompere un ramo e sgraffignare poche mele, è una mariuoleria, per un ragazzo; per un uomo, è un reato, per un forzato, un delitto. Scalata e furto non manca nulla. Non è più la polizia correzionale, ma la corte d'assise; non sono più pochi giorni di prigione, ma è la galera a vita. Eppoi, c'è la faccenda del piccolo savoiardo che spero bene ritorni a galla. C'è di che agitarsi, nevvero? Sì, per un altro che non fosse Valjean; ma Jean Valjean è un sornione, e lo riconosco anche per questo. Un altro sentirebbe che la faccenda scotta, si agiterebbe, griderebbe: la pignatta canta davanti al fuoco; ed egli non vorrebbe essere Jean Valjean, eccetera. Egli, invece, ha l'aria di non capire e dice: «Io sono Champmathieu e non mi muovo di là». Ha l'aria istupidita, e fa l'idiota, tattica migliore. Oh, il furfante è abile! Ma fa lo stesso, poiché le prove sono qui: è riconosciuto da quattro persone ed il vecchio briccone sarà condannato. Comparirà davanti alla corte d'assise d'Arras ed io v'andrò a testimoniare: sono citato.
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