Intravedeva distintamente nell'ombra uno sconosciuto, un estraneo, che il destino scambiava per lui e spingeva nel baratro al suo posto; e bisognava, affinché il baratro si richiudesse, che qualcuno vi cadesse, egli o l'altro.
Non c'era che da lasciar fare.
La luce divenne completa ed egli si confessò questa cosa: che il suo posto in galera era vuoto e che, per quanto egli facesse, esso l'aspettava sempre; che il furto ai danni di Gervasino ve l'avrebbe ricondotto; che quel posto vuoto l'avrebbe atteso e attirato a sé fino a quando egli non vi fosse tornato; era inevitabile e fatale. Poi disse a se stesso che in quel momento v'era un sostituto, un certo Champmathieu sembrava avesse questa cattiva sorte e, quanto a sé, presente ormai in carcere sotto la persona di quel Champmathieu, presente nella società sotto il nome di signor Madeleine, non aveva più nulla da temere, a patto che non avesse impedito agli uomini di mutare sulla testa di Champmathieu quella pietra d'infamia che, come quella del sepolcro, cade una volta sola e non si rialza mai più.
Tutto ciò era tanto violento e strano, che si produsse in lui quella specie di indescrivibile tumulto da nessun uomo provato più di due o tre volte in vita sua, sorta di convulsione della coscienza la quale rimescola tutto ciò che il cuore ha di dubbioso, si compone d'ironia, gioia e disperazione, che potrebbe chiamarsi uno scoppio di riso interiore.
Egli riaccese bruscamente il lume.
«Ebbene,» disse fra sé «di che cosa ho paura? Perché mi do tanto pensiero?
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