Nel riandare a tanto spaventose idee, il coraggio non gli veniva meno, ma il cervello gli si stancava; suo malgrado, incominciava a pensare ad altro, a cose indifferenti.
Le arterie gli battevano violentemente nelle tempie, mentre andava e veniva sempre. Suonò la mezzanotte, prima alla parrocchia, poi al municipio. Egli contò dodici colpi ad entrambi gli orologi e confrontò il suono delle due campane; si ricordò in quel punto che pochi giorni prima, da un mercante di ferravecchi, aveva veduto una vecchia campana da vendere, sulla quale era scritto questo nome: Antonio Albin, di Romainville.
Aveva freddo. Accese un po' di fuoco, ma non pensò a chiudere la finestra. Intanto era ricaduto nello stupore e dovette fare uno sforzo piuttosto grande per ricordarsi a che pensava prima di mezzanotte; finalmente vi riuscì.
«Ah, già!» disse fra sé. «Avevo preso la risoluzione di denunciarmi.»
Poi, all'improvviso, pensò a Fantine.
«To'!» disse. «E quella povera donna?»
E qui ebbe una nuova crisi. Fantine, apparendo bruscamente nella sua meditazione, fece effetto d'un inatteso raggio di luce; gli parve che tutto mutasse aspetto, intorno a lui, ed esclamò:
«Ma perdiana! Finora ho considerato soltanto me! Ho badato solo alla mia convenienza! Mi convenga tacere o denunciarmi, nascondere la mia persona o salvare la mia anima, essere un magistrato disprezzabile e riverito o un galeotto infame e venerabile, si tratta sempre di me, di me soltanto! Ma, mio Dio, tutto questo è egoismo! Sono forme diverse d'egoismo, ma sempre egoismo.
| |
Antonio Albin Romainville Fantine Dio
|