È un nome fatale che fluttua nelle tenebre: se si ferma e s'abbatte sopra una testa, tanto peggio per essa!»
Si guardò in uno specchietto collocato sul camino e disse:
«To'! L'aver preso una risoluzione m'ha sollevato! Ora mi sento un altro.»
Fece ancora pochi passi, poi si fermò.
«Suvvia!» disse. «Non si deve esitare davanti a nessuna conseguenza della risoluzione presa. Ci sono ancora dei fili che mi legano a quel Jean Valjean: bisogna romperli! Qui, in questa stessa camera, vi sono oggetti che m'accuserebbero, cose mute che potrebbero essere testimoni. Ho deciso: debbono sparire!»
Si frugò in tasca, ne levò la borsa, l'aperse e ne tolse una chiavetta; la introdusse in una serratura della quale si scorgeva a stento il buco, nascosto nelle tinte più scure del disegno della tappezzeria, e un nascondiglio s'aperse. Era una specie di finto armadio, praticato fra l'angolo del muro e la cappa del cammino, nel quale v'erano soltanto pochi cenci: un camiciotto di tela turchina, un vecchio paio di calzoni, un vecchio zaino e un grosso randello di pruno, ferrato alle due estremità. Coloro che avevan visto Jean Valjean nell'epoca in cui attraversava Digne, nell'ottobre 1815, avrebbero facilmente riconosciuto tutti i capi di quel miserrimo vestiario.
Egli li aveva conservati, come i candelieri d'argento, per ricordar sempre il suo punto di partenza; solo, aveva nascosto i cenci, che venivan dalla galera, ed aveva lasciato in vista i candelieri, che venivan dal vescovo.
Gettò un'occhiata furtiva verso la porta, come avesse temuto che si aprisse, malgrado il catenaccio che la chiudeva; poi, con gesto vivace e brusco, in una sola bracciata, senza un'occhiata a quelle cose che aveva tanto religiosamente e pericolosamente conservate per tanti anni, prese tutto, cenci, bastone e zaino, e li gettò nel fuoco.
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Jean Valjean Jean Valjean Digne
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