Richiuse il finto armadio e, per eccesso di precauzione ormai inutile, poiché era vuoto, ne nascose la porta dietro un grosso mobile che vi spinse contro.
In capo a pochi secondi, la camera e il muro dirimpetto furono rischiarati da un gran riflesso rosso e tremolante. Tutto bruciava; il bastone di pruno scoppiettava sprizzando scintille fino in mezzo alla stanza.
Lo zaino, consumandosi coi luridi cenci che conteneva, aveva messo a nudo qualcosa che scintillava nella cenere. Chi si fosse chinato, avrebbe facilmente riconosciuto una moneta d'argento: senza dubbio i quaranta soldi rubati al piccolo savoiardo. Ma egli non guardava il fuoco e camminava, su e giù, sempre collo stesso passo.
Ad un tratto, lo sguardo gli cadde sui due candelieri d'argento che il riflesso faceva vagamente brillare sul camino.
«To'!» disse. «Jean Valjean è ancora tutto dentro lì: bisogna distruggere anche quelli.»
E prese i due candelieri. Il fuoco era ancora abbastanza forte perché si potesse deformarli rapidamente e farne una specie di verga irriconoscibile.
Si chinò sul focolare e vi si riscaldò per un momento, provando un vero benessere. «Che bel caldo!» disse.
Rimosse la brace con uno dei candelieri. Ancora un minuto ed essi sarebbero stati nel fuoco; ma in quel momento gli parve di sentire una voce, che gridava dentro di lui:
«Jean Valjean! Jean Valjean!»
Gli si rizzarono i capelli in capo, simile a chi ascolti una cosa terribile.
«Già, proprio così» diceva la voce. «Completa quel che stai facendo! Distruggi questi candelieri, annienta, annienta quel ricordo!
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Valjean Valjean Valjean
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