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      Dove andava? Non avrebbe saputo dirlo. Perché s'affrettava? Non lo sapeva; andava a caso davanti a sé. Dove? Senza dubbio ad Arras; ma forse anche altrove. In certi momenti lo intuiva, e trasaliva.
      Sprofondava in quelle tenebre come in un baratro. Qualche cosa lo spingeva, qualche cosa l'attirava; nessuno potrebbe dire quel che accadeva in lui, ma tutti lo capiranno. V'è un uomo che non sia entrato, almeno una volta in vita sua, in codesta oscura caverna dell'ignoto?
      Del resto, non aveva deciso nulla, risoluto nulla, stabilito nulla. Non un atto della sua coscienza era definitivo: era più che mai come nel primo momento.
      Perché andava ad Arras? Andava ripetendosi quello che si era già detto, noleggiando il baroccino di mastro Scaufflaire; che, cioè, qualunque potesse essere il risultato, non vi era alcun inconveniente nel veder coi propri occhi, nel giudicare personalmente le cose; che era anzi cosa prudente, perché bisognava sapere quel che sarebbe accaduto; che non si poteva decider nulla senza prima aver osservato e scrutato; che, da lontano, si ingigantiva ogni cosa; che alla fin dei conti, quando avesse veduto quel Champmathieu, un miserabile, con ogni probabilità, la sua coscienza si sarebbe certo data pace di lasciarlo andare in galera al suo posto; che per la verità si sarebbero trovati colà Javert, e quel Brevet, quel Chenildieu, quel Cochepaille, antichi detenuti che l'avevano conosciuto (ma certo che idea! non l'avrebbero riconosciuto, tanto più che Javert era lontano le mille miglia da quel dubbio); che tutte le congetture e tutte le supposizioni erano fisse su quel Champmathieu e che non v'è nulla di più testardo delle supposizioni e delle congetture; che non v'era dunque alcun pericolo.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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